lunedì 25 dicembre 2017

Va beh, si vede che doveva finire così...


La satira è uno strumento di comunicazione. E' una specie di racconto, fulmineo, sanguigno, di testa, di mano e di stomaco. Un calcio nel culo alla (dis) ordinarietà della vita politica, sociale e anche personale di quel cittadino. Si, avete ragione, è una prepotenza, ma credo, in tal caso,  una prepotenza "sana". Perchè la mia urgenza di raccontare un fatto, un'ingiustizia, come in questo caso, trova sfogo in un tratto di matita, in una battuta appoggiata ad un omino che parla. E che, sempre come in questo caso, magari augura il male peggiore a chi ha prodotto il malaffare. Pertanto per il destinatario non c'è scampo, è già praticamente sotterrato dalla (mia) cattiveria artistica. Il rischio per il sottoscritto è di essere censurato proprio perché avrei esagerato e/o superato i limiti del buon gusto. Dunque, credo che uno degli argomenti più noiosi sulla satira è il cosiddetto criterio del "buon gusto". Chi lo dovrebbe stabilire? Il direttore di quel giornale, forse? Beh, allora non ci siamo proprio. Perché la prima regola della satira è che...non ha regole! Quindi tanto-meno "buon gusto" , se non altro perché se dovessi fare della (buona) satira salvaguardando il "politicamente corretto", oppure il bon-ton, tenendo conto magari delle possibili reazioni di chi è preso di mira, oltreché del direttore della testata di turno tanto vale che cambi mestiere. La satira è un giuoco libero in un Paese atipico come il nostro, che non riconosce affatto le regole, ma soprattutto che mi ha imboccato la pericolosissima (e assurda) strada di... tollerare l'illegalità, sic! Pertanto la domanda sorge spontanea; se "loro", quelli che mi rappresentano il potere, non mi rispettano le regole, perché, di grazia, le dovrei rispettare io? Non scherziamo...

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